TRENT’ANNI FA MORIVA EDUARDO DE FILIPPO

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TRENT’ANNI FA MORIVA EDUARDO DE FILIPPO

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Trent’ anni fa moriva Eduardo De Filippo era il 31 ottobre del 1984 .L’artista Eduardo non è mai disgiunto dall’Eduardo impegnato nell’analisi e nella critica dei paradossi della realtà. Chi ancora oggi si accosti alla sua opera senza tempo, eterna, non può che esserne profondamente toccato. Grazie Eduardo, rimarrai sempre nelle nostre menti e nei nostri cuori». Così il presidente del Senato Pietro Grasso in occasione della cerimonia dedicata a Eduardo De Filippo a trent’anni dalla sua scomparsa.«Abbiamo voluto intitolare questo percorso “Cantata delle parole chiare. Voci dal teatro di Eduardo in Senato” proprio perché è stato un uomo profondamente radicato nella realtà – della quale ci ha offerto, con estrema originalità, spaccati magistralmente rappresentativi – facendo della sua Napoli lo specchio del mondo», ha detto ancora Grasso. «Al teatro – ha continuato Grasso – De Filippo assegnava una funzione morale, una funzione pedagogica, una funzione di rinnovamento. Esempio ne sia il dibattito stimolante che seguì la prima di Filumena Marturano, dove veniva affrontata la problematica a lui cara della condizione dei figli illegittimi e l’idea stessa di famiglia. A lui dobbiamo una definizione suggestiva del Teatro: “Teatro significa vivere sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male”.

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Noi non possiamo che essergliene grati. Grati per tutto ciò che con la sua ricca produzione ci suscita: le emozioni, i pensieri, le lacrime e i sorrisi. Il lavoro sull‟analisi degli stereotipi eduardiani vuole anche cercare una risposta all‟ossessione dell‟autore Eduardo De Filippo condannato, come attore a cercare la perfezione e come autore a non trovarla. In Eduardo c‟è l‟amarezza di un uomo deluso dalla scrittura che per lui rappresentò sempre un‟amante ideale. Eduardo aveva costruito parole ed emozioni attraverso le opere dei più prestigiosi autori di teatro, i giudici severi della sua scrittura erano Molieré e Shakespeare; perciò l‟assoluto diventava l‟ obiettivo della sua forma letteraria e rendeva maggiormente evidente l‟ urgenza di un cambiamento linguistico rispetto al modello scarpettiano. L‟ossessione per la scrittura si alimentava delle tante ore passate in giovanissima età a ricopiare i copioni di ogni genere drammatico nella compagnia di Eduardo Scarpetta; grazie a questa operazione l‟autore Eduardo De Filippo cresceva in consapevolezza e ridimensionava il manierismo eccessivo del teatro napoletano, a partire dal problema della scrittura scenica. Perciò il tema scarpettiano che pure si può leggere nella trama di Questi fantasmi! viene superato. Il protagonista è Pasquale Lojacono, uomo di mezza età in cerca un riscatto. Gli si offre la possibilità di andare a vivere gratis con la moglie Maria in un palazzo seicentesco, col compito di sfatare la leggenda che lo vuole infestato dai fantasmi. Pasquale, dimostrando l‟inattendibilità delle dicerie, spera di trasformare l‟appartamento in una pensione affittando alcune delle sue diciotto stanze. Il piano viene sconvolto dall‟arrivo in casa dell‟amante della moglie, Alfredo Marigliano, che sfruttando la leggenda dei fantasmi, ha trovato un modo per accedere indisturbato all‟appartamento. Alfredo si rivela per Pasquale un fantasma benigno, infatti lo colma di regali e gli fa trovare denaro in una certa giacca. Maria, disprezzando il comportamento da parassita del marito, decide di fuggire con l‟amante. A complicare la vicenda arriva un esercito di fantasmi: il cognato di Alfredo, i suoceri, i figli e la moglie. Pasquale li accoglie come anime in pena giunte dall‟aldilà. Il fantasma Alfredo disertando la casa di Pasquale lo condanna ad un‟esistenza misera, fino al giorno in cui decide di attuare una fuga d‟amore con Maria e viene fermato da Pasquale. Di fronte alle sue parole, Alfredo si ritira sconfitto, lasciandogli sul tavolo il necessario per uscire dall‟indigenza che lo affligge. Eduardo stesso dichiara che Questi fantasmi è una tragedia moderna: la capitolazione di tutti i sentimenti, la distruzione di tutti i poteri della nostra civiltà. È un momento di sbandamento del dopoguerra, che ha poi rivoluzionato tutto. I fantasmi chi sono? Sono tutti quelli che ovviamente vivono questa nostra vita e sono i fantasmi del passato che vengono agli occhi alterati di Pasquale Lojacono. Infatti, qual è la battuta di Pasquale Lojacono al finale del secondo atto, quando si affaccia al balcone e parla col professore? ‹‹Niente professore, niente! Tutto a posto i fantasmi non esistono i fantasmi siamo noi!››. Siamo noi che consolidiamo e portiamo avanti, a passo lentissimo, le leggi più anacronistiche e distruttive della terra. Nel gennaio del 1946, Eduardo rappresentò al teatro Eliseo Questi fantasmi. La trama può essere sintetizzata brevemente, anche perché gli elementi costitutivi sono gli stessi di tante farse e pochades familiari al pubblico. Il bordo esterno del lavoro tratta di un tradimento, perciò i protagonisti sono necessariamente il marito Pasquale Lojacono, la moglie Maria e l‟amante Alfredo Marigliano. Il lettore si aspetterebbe, quasi sicuramente, una peripezia come soluzione finale, ma l‟arrivo delle anime presenti nella casa, che Pasquale Lojacono si appresta ad abitare, complica la situazione. Eduardo nutriva molte perplessità sulla riuscita della commedia perché era certo che difficilmente il pubblico benpensante avrebbe accettato le verità scomode presenti nel testo. Servendosi di un incipit farsesco, l‟attore di consumato mestiere salva l‟autore e gli consegna le chiavi per entrare indisturbato nelle coscienze del suo pubblico. La commedia si offre alla percezione del lettore con lo stereotipo formale della farsa e con lo stereotipo tematico del triangolo amoroso. Da questa prospettiva l‟intreccio si complica perché gli avvenimenti saranno sempre trasformati in eventi. Le indicazioni della didascalia ci trasportano subito nel mondo di Questi fantasmi e introducono il deuteragonista della storia: un palazzo del Seicento, decisamente barocco. Contrariamente a quanto avviene nelle altre commedie Napoli fa sentire la sua presenza anzi la sua anima, infatti, come viene spiegato nella didascalia, il testo parla di anime, e la città stessa diventa un‟anima. Associare Napoli ad una coralità viva e palpitante è un‟operazione istintiva, direi quasi naturale, ma smorzare i suoni dei vicoli fino a soffocarli dentro la macchinosa architettura di un palazzo barocco è già un‟operazione di senso nuova. Il palazzo con la sua vetusta nobiltà diventa ossimoro della Napoli devastata dalla guerra. L‟anima dolente della storia, lo splendore avvilito dalla guerra, diventa ingombro; dimenticare il passato significa non accettare la sconfitta, nascondere una tradizione, culturalmente, prima che socialmente nobile. Sebbene una vulgata tradizionale, inquadri Eduardo in un ambito strettamente popolare, l‟autore scrisse per un pubblico essenzialmente borghese, perché, contrariamente a quanto si possa pensare, anche Pasquale Lojacono è un borghese, malgrado la sua presentazione sgangherata e goffa. Così acconciato, Pasquale si staglia come un incrocio fra Pulcinella e Charlie Chaplin, ma evoca anche altre figure clownesche, che costellano i drammi di Beckett e Ionesco e che verranno riprese, in contesti e con obiettivi diversi, da altri autori. In questo modo, Donatella Fischer descrive l‟apparenza dell‟anima in pena in Pasquale Lojacono. Nel riprendere la definizione di Anna Barsotti che parla di vinti defilippiani, la studiosa mette in evidenza il carattere particolare di questo personaggio, che rispetto agli altri vinti porta dentro di sé una carica emotiva che induce rispetto e ammirazione, e lo proietta oltre la contingenza di una realtà ostile e difficile. I tentativi di Lojacono di pareggiare i conti con la vita, credendo che il benessere lo possa appagare, sono il portato di una mentalità borghese a cui Pasquale sta consegnando il suo sogno d‟amore. Le sue inquietudini sono ancora intrise di un romanticismo credibile che non si ritrova nei personaggi di Beckett e Ionesco. Anche se diversa è la temperatura emotiva, uguale è la febbre; così il pulcinella chiassoso e scomposto della commedia dell‟arte e lo straniato e malinconico clown del teatro europeo condividono la stessa visione tragica della vita. Lo stereotipo della Napoli folklorica ed eccessiva non è mai utilizzato se non in chiave critica, il testo scritto descrive personaggi in rapporto dialettico con una tradizione filosofica-comportamentale che fa della parola un‟arma di sottile seduzione o di pesante condanna. Nelle farse di scarpettiana memoria, riprese e in alcuni casi riscritte da Eduardo, l‟eccesso è assente e i testi regalano personaggi che hanno già il rigore espressivo di quelli presenti nella Cantata dei giorni dispari. Anche nella commedia Non ti pago, il mondo dei morti dialoga con quello dei vivi suggerendo i numeri “giusti” per il Lotto. Dietro il gioco e l‟innocenza dell‟illusione si nasconde la dispotica volontà di Don Ferdinando, gestore per tradizione familiare, di una ricevitoria. Il protagonista aveva passato tutta la vita accarezzando il sogno di una sua vincita e durante anni di onorato servizio aveva consegnato altre vincite ad illustri sconosciuti, assistiti da anime evidentemente più generose dei suoi trapassati. Quando Don Ferdinando affitta a Bartolini, personaggio di brillante e fortunato avvenire, la stanza del suo appartamento dove un tempo dormiva, gli viene giocato un tiro mancino. I numeri “salvifici” vengono dati dal padre di Don Ferdinando proprio a Bartolini, giovane e futuro genero. L‟inutile tentativo di non risarcire il vincitore è destinato a fallire anche in virtù della motivazione pretestuosa: l‟anima del trapassato in buona fede avrebbe indovinato il posto ma sbagliato persona, non poteva sapere del suo cambio di stanza. Il determinismo empirico di Don Ferdinando, al limite del blasfemo, fonda i suoi presupposti su motivazioni storico-culturali di cui bisogna tener conto per capirne il radicamento sociale e la sua influenza sulle creature eduardiane. Annibale Ruccello, autore di cui si tratterà in seguito, analizza la causa di questa commistione tra sacro e profano nella sua tesi di laurea, recentemente pubblicata col titolo Il sole e la maschera: I problemi connessi alla fede e all‟ortodossia assumono a Napoli delle caratteristiche originali a confronto dei rimanenti stati italiani, venendosi a stratificare su di una problematica religiosa con forti addentellati con la cultura dei dominatori spagnoli e su di una complessità di esigenze e di bisogni propri delle classi subalterne meridionali che per motivi di ordine storico…avevano elaborato un‟esperienza culturale che sfociava nell‟irrazionale e nel fantastico ricoperti da un velo di autentica religiosità. Ruccello si riferisce al particolare momento degli ultimi decenni del Seicento e dei primi del Settecento, epoca in cui opera il gesuita Andrea Perrucci, autore della Cantata dei pastori. Il testo modellizzante delle sacre rappresentazioni campane dimostra come l‟irridente spirito partenopeo non venne fermato neppure dall‟oppressione moralizzatrice della Controriforma. Questa strana religiosità che convive con la credenza senza soggezione culturale è alla base di un vissuto comune che rende serissimo lo sdegno di Don Ferdinando e l‟ 17 incredulità di Pasquale Lojacono. Il lieto fine d‟obbligo nella Cantata dei giorni pari, non basta a costruire l‟illusione di un testo nato per divertire. Lo smarrimento di Don Ferdinando è troppo profondo e nasconde un dolore radicato nella solitudine di una famiglia che non riconosce più l‟autorità paterna e affila le armi del rancore spingendolo al riscatto di un‟improbabile vincita. Il protagonista di Non ti pago porta dentro sé in modo dirompente i segni di una disillusione personale e generazionale, mentre Pasquale Lojacono razionalizza in un ironico distacco la sua marginalità esistenziale, riuscendo a giocare con le sue anime e vincendo la sua partita. La forma drammaturgia della commedia salva Don Ferdinando nello stesso modo in cui la costruzione del personaggio restituisce ad un uomo lacerato e offeso, Pasquale Lojacono, una rinnovata dignità. La caparbietà e la disperazione di Don Ferdinando sono il negativo della fotografia di Pasquale Lojacono. Grazie alle anime, presenti in Questi fantasmi, si stempera la tragedia che i personaggi portano, ciascuno a suo modo, a compimento. La linea di sottile demarcazione che separa la realtà dalla finzione serve a isolare nel tempo e nello spazio la verità indicibile: la realtà non può essere vissuta alla luce della coerenza. Pasquale potrebbe non credere nei fantasmi, ipotesi che il testo non esclude né conferma esplicitamente, ma nessuno potrebbe evitare il tormento di vedere il rivale Alfredo in tutto lo splendore economico, se non intervenisse un‟irrazionale credenza a lenire lo stato di impotenza che lo imprigiona. Se sapesse, dovrebbe vedere, ma lo straniamento vero o presunto gli concede l‟unica via di fuga e libertà possibile in una società, quella dell‟Italia del 1945, dove la coerenza significa cieca obbedienza ai ruoli e una moglie che tradisce viene esposta al dileggio della comunità. Nonostante gli stereotipi utilizzati indirizzino la nostra attenzione in senso opposto, le azioni di Pasquale sono guidate da una logica diversa, non rintracciabile nelle dinamiche comuni, per le quali la delusione legittima di Maria passa per una richiesta di attenzione tacita e imperiosa. La lucida disperazione e lo straniamento conseguente sono l‟effetto più originale di quel pirandellismo che parte della critica ha indicato come attivo nelle opere di Eduardo e soprattutto in Questi Fantasmi. L‟uso dello stereotipo, dunque, gli permette di effettuare un‟operazione che non sarebbe riuscita così bene ad altri autori. Il rapporto con Pirandello gli aveva permesso certe confidenze, autorizzate anche da una naturale inclinazione per il mistero delle contraddizioni che dominano gli uomini perfino nei momenti più felici. Secondo Taffon l’ incontro fondamentale con Pirandello negli anni 1935-36, sia come regista di Liolà (dirigendo il fratello Peppino), sia come attore protagonista nella versione napoletanizzata de Il berretto a sonagli, sia infine, come drammaturgo nell‟elaborazione svolta gomito a gomito con il grande scrittore siciliano della novella di quest‟ultimo L’abito nuovo (che porterà in scena l‟anno successivo alla morte del grande autore) spingerà Eduardo a una maggiore sicurezza e consapevolezza nell‟elaborazione anche tecnico-drammaturgica del suo repertorio che vedrà aumentare le commedie scritte in tre atti; gli permetterà pure di superare quell‟impostazione farsesca troppo legata agli effetti ed ad una ‹‹compressione›› dello svolgimento drammatico che gli aveva assicurato il favore del pubblico, senza doverselo alienare. L‟allievo Eduardo gioca con i testi di Pirandello e osa scrivere alla sua maniera:

ARMIDA. (con tono di voce opaco) Signore, voi in me non vedete una donna, in queste figure vedete una famiglia.. Voi vedete cinque fantasmi.

PASQUALE. (rassicurato dalla dolcezza di voce di Armida) Accomodatevi. [….]

ARMIDA. (accettando di buon grado l’invito) Grazie. (Tutti prendono le sedie e siedono a loro volta) Io sono morta un anno e mezzo fa.

PASQUALE. Ah è recente (Tuono in lontananza).

ARMIDA.Queste due figure di adolescenti (Li mostra) Pulisciti il naso tu.. (Col fazzoletto pulisce il naso alla femmina). E tu… (al maschio che in quel momento è in preda al tic) smettila controllati…Lo fai apposta…(a Pasquale) È uno spirito di contraddizione… Queste due figure di adolescenti, vi dicevo, sono due morticini (Tuono più forte. Armida, tragica per la sua freddezza). Io fui uccisa mentre amavo, nell‟istante in cui le vibrazioni del mio cuore, del mio cuore, del mio animo, dei miei sensi…capitemi, toccavano l‟acme della completa, capitemi, completa felicità…

PASQUALE. Proprio in quel momento?…Che peccato!

ARMIDA. Uccisa perché murata viva in una casa fredda e triste47. 19

Lo stile pirandelliano, così facilmente riconoscibile, viene profanato dal contenuto comico e dalle indicazioni delle didascalie: un gioco che manifesta nella sua realizzazione il desiderio di mostrare la contaminatio e che ha come effetto secondario, ma non trascurabile, quello di regalare all‟autore siciliano una popolarità che in quel momento Pirandello non aveva. L‟ operazione giova al canone perché da un lato rende familiare il pirandellismo e dall‟altro sottolinea la nascita di una forma nuova della scrittura teatrale. In questo senso Eduardo si pone come mediatore culturale d‟eccezione rendendo la costruzione razionale dei personaggi pirandelliani non più eccessiva ma stereotipa. De Filippo inventa lo stereotipo “Pirandello” e porta lo sberleffo del guitto alla serietà dei suoi personaggi, rendendo giustizia ad un desiderio di prossimità e identificazione che segna un distacco intellettuale fra il pubblico e l‟autore siciliano. Questo tributo al grande amico rallenta i ritmi del testo e nuoce all‟unità stessa della commedia o meglio della tragedia moderna, ma risulta un utile travestimento per arrivare ad un pubblico più vasto e traghettare i fantasmi fuori del castello incantato della sua coscienza di scrittore. Secondo Ugo Piscopo:

Di confidenze e di scambi di favore con le forze latenti della vita, la novellistica e il teatro napoletani abbondano. Ma in nessun testo, in nessuna rappresentazione appartenenti alla tradizione si delinea un‟atmosfera allucinatoria-visionaria come in questo lavoro di Eduardo, che, piuttosto nella sua tessitura e nei suoi effetti, fa pensare a quelle cornici di assurdo entro cui molti personaggi pirandelliani, sia della narrativa sia del teatro, liberano solitarie e strane fabulazioni, presentano liste di conti da risarcire, rivendicano per il sogno una dimensione e un significato di valore. Eduardo vuole scuotere il pubblico dalla passività e dall‟indifferenza di fronte ai problemi che chiedono una risposta e si depositano nelle coscienze sino a bloccarle e a limitarne in modo totale la capacità d‟espressione. Quest‟esigenza detta la sua cifra stilistica e nell‟analisi della poetica, sottesa alla scrittura della commedia, la costruzione dei personaggi rappresenta uno degli elementi più significativi. Il testo vive di un‟irrisolvibile ambiguità, perché manca una caratterizzazione psicologica rigorosa e coerente. Grazie allo stereotipo, la soluzione di Questi Fantasmi! sarebbe semplice e consolatoria per tutti, anche per i personaggi se avessero un’anima dolente e vera. Ma pur nell‟evidenza degli esiti niente di scontato si offre alla percezione del lettore. Lo schema attanziale rappresenta un valido aiuto per capire le ragioni dei nostri fantasmi: Il modello attanziale si serve di un gioco di forze per rendere conto delle strutture profonde dell‟opera. Tali forze (simbolizzate da un sistema di frecce) non devono necessariamente coincidere con i personaggi. Esso si presenta nel seguente modo: Si tratta innanzitutto, d‟individuare l‟asse principale che traduce la dinamica dell‟opera, letteralmente il suo motore, isolando il soggetto e l‟oggetto dell‟azione e ciò che li riunisce, la freccia della volontà, del desiderio. Scriviamo, quindi, che S→O. Dobbiamo determinare l‟identità del soggetto nel testo, tenendo presente, però che è impossibile separarlo da ciò che lo lega all‟oggetto e costituisce la ricerca. Il soggetto può quindi coincidere con l‟eroe, benché ciò non sia sempre vero. L‟individuazione di questa coppia centrale è determinante, ma si svolge completamente al di fuori della psicologia, perché il soggetto e l‟oggetto sono necessariamente legati e il punto essenziale è questa dinamica che li unisce. Seguendo questo schema, e volendo rimanere fedeli ad una tipologia che rende attivo lo stereotipo, si possono, senza dubbio, riempire le caselle in modo tradizionale. Alcune caselle non pongono alcun problema e rispettano le nostre attese, ma altre ci conducono alla complessità che il testo manifesta e nasconde. Anne Ubersfield, nel parlare delle forze attanziali, rimarca la necessità di non fermarci ad una sola ipotesi ma di procedere con uno schema diverso, specialmente nel caso di un testo particolarmente complesso. Una comparazione dei due schemi ci permette di entrare nella dinamica di un agire individuale che si trasforma in passività o rassegnata accettazione. Di fatto, l‟interesse dello schema attanziale è quello di offrire una cornice propizia alla manipolazione delle forze che si affrontano nel testo, e attraverso ciò, insegnare, provando diverse soluzioni, a diffidare delle evidenze. Lo schema I rappresenta la storia ponendo al centro Pasquale Lojacono ed il rapporto che unisce il protagonista a Maria, espresso dal verbo amare. Ma quando ci troviamo a rispondere alla domanda proposta dal destinatario (per che cosa?), alcune osservazioni ci fanno propendere per una soluzione inaspettata. Le ombre che si allungano su Pasquale sono insidiose e imperscrutabili, quanto e molto più dei suoi fantasmi. Il dirimpettaio di fronte, l‟illustre professor Santanna, gli ricorda la “sentita partecipazione della gente” allo scialo dei triti fatti, anche quando un rispettoso silenzio eviterebbe deflagranti esplosioni emotive. Pasquale, che potrebbe vivere con strategico distacco la sua situazione sentimentale, è costretto a tener conto dei sussurri e delle chiacchiere così come dello sguardo di silenziosa riprovazione e della ossessiva presenza del professor Santanna. Il controllo sociale condanna l‟ uomo che ha fallito nella realizzazione economica e nel matrimonio: contaminato nella sua essenza più profonda, l‟amore per Maria perde la sua forza. Di fronte al terribile verdetto Pasquale agisce prima di tutto per lavare la colpa e cercare il riscatto. Ma l‟obiettivo non è più Maria e quindi se stesso: un misto di ambizione e appagamento lo ubriacano e gli fanno trovare la strada della rivincita. Il calice amaro viene addolcito dall‟illusione della vittoria anche se il controcanto di Maria rivela il senso di un amore perduto. GASTONE. Ve l‟ ho detto: una santa, siete una santa! E…vostro marito? MARIA. Più agitato che mai. In certi momenti mi fa paura…Pieno di debiti. Ha già venduto diversi mobili. La pensione forse, avrebbe potuto rendere perché cominciava a venire qualcuno, ma sapete manca diversa roba. L‟ uomo che ci fornì la camera da bagno, ci ha fatto il sequestro, e mio marito sapete cosa mi ha detto ieri sera? Non ti preoccupare, quello che mi faceva trovare il denaro non si è fatto più vedere… Ma vedrai che qua torna. Nel lettore rimane molto viva e forte la percezione di uno stato alterato della coscienza che domina Pasquale al punto da confondere la veste istituzionale del matrimonio con la sacralità di un rapporto di affinità elettiva che non ammette trucchi e scorciatoie. In questa visione allucinata i fantasmi rappresentano i suoi alleati, anche se il testo tradisce un‟insofferenza di Pasquale verso queste presenze; infatti la sua costruzione si regge grazie ad un solido impianto razionale. La sua passività apparente gli serve per allontanare i morsi della gelosia e consentire che Maria ami Alfredo; il copione così costruito serve a sollecitare in Maria una scelta che altrimenti non potrebbe essere totale. Cosciente che un‟imposizione non regala alcuna sincerità d‟ affetto, Pasquale martoria il suo essere, animato dalla certezza che la vittoria sarà sua. Ogni nobile convinzione soccombe davanti alle regole della rispettabilità sociale e il sipario si chiude nel momento in cui ogni certezza si spegne nel buio. Lo schema II mette al centro il personaggio di Alfredo Marigliano, l‟amante di Maria. Alfredo entra in scena nel più tradizionale dei modi, nascosto dentro un armadio. Un‟altra volta, come già era accaduto per la prima grande entrata in scena di Pasquale, l‟effetto comico suggerisce una possibilità d‟ interpretazione che viene indicata da uno stereotipo: Vedi Mari‟, io rispetto le tue idee; però tu conosci le mie…Non è colpa tua. Te l‟hanno ditto, l‟hanno predicato, o‟ ssapive primma ‟e nascere ca‟ e cose se fanno ‟e nascosto. Ma il mio progetto non cambia. E se è vero che non si può pretendere di cambiare da un momento all‟altro tutto l‟ordinamento di una vita sociale, ti garantisco che l‟ordinamento di un solo mondo, quello nostro, lo cambierò io. Con mia moglie ho parlato chiaro I figli andranno per la loro strada, so‟ grosse…Pago, pago la penale per essere venuto meno ad un contratto, nu piezzo ‟e carta ca, quanno l‟hê firmato, è comme na condanna a morte… ca te ncatena pe tutta‟ ‟a vita. Il fantasma- Alfredo con poche battute dimostra un‟ insofferenza per il ruolo di mante, un senso di caldo affetto scioglie il lettore e lo induce ad ascoltare le ragioni della sua passione. Questa scelta drammaturgica è dettata dalla forte esigenza di presentare non solo l‟amore clandestino di Maria e Alfredo, ma anche i tanti, gli altri amori clandestini secondo un‟ottica diversa da quella della vergogna e del peccato. L‟ Italia del periodo, dominata dal perbenismo borghese e dal pensiero cattolico, rendeva difficile l‟affermarsi di un pensiero liberale e autoreferenziale. Succedeva così molto spesso che la coscienza del singolo accettasse costrizioni laceranti; pochi erano capaci di scelte radicali, pochissimi sapevano sopportare le inevitabili conseguenze. Eduardo così ci descrive Alfredo: È Alfredo Marigliano. Il suo modo di parlare, il tono della sua voce possono caratterizzarlo a prima vista un mezzo nevrastenico esaltato, al contrario egli è solamente un sentimentale, cultore del libero pensiero e della sua indipendenza. L‟appartenenza di Marigliano allo stereotipo dell‟amante da pochade risolverebbe la problematicità del personaggio che invece si pone come coscienza critica di una società. L‟agire sicuro e determinato riversa su Alfredo una luce di modernità e anticipa necessità e istanze che verranno rivendicate in modo più deciso negli anni a venire. La Fischer mette l‟accento su un aspetto importante per la comprensione di Alfredo e Pasquale. Per quanto prevaricante nella fabula e strutturato in maniera complessa, Pasquale porta avanti la sua battaglia in modo parallelo ad Alfredo. Lojacono lotta per riconquistare il cuore di Maria e quindi il suo posto nella società, Marigliano lotta per conquistare Maria e affermare la sua libertà esistenziale. Le simpatie del lettore sono equamente distribuite fra i due personaggi, perciò il confronto finale è un duello di coraggiosa vigliaccheria. Sottolinea la Fischer: Da un punto di vista teatrale è la prima volta che Pasquale e Alfredo si trovano fianco a fianco di fronte al pubblico, e la loro posizione è significativa poiché ora entrambi si trovano al cospetto della loro giuria, ognuno con la sua storia, con le sue aspirazioni e con i suoi torti. Alfredo è spaventato nel vedere Pasquale e sentendosi colto in flagrante, cerca di sfuggire, ma Pasquale lo ferma e proprio come in un processo (e si ricorda nuovamente il ricorrere di quest‟ immagine), è il primo a prendere la parola e discolparsi per le sue azioni nel suo ultimo lungo monologo54. La pagina scritta rende più evidente questo scontro, in quanto, privati dell‟interpretazione registica, senza le inevitabili coloriture dettate dalle esigenze sceniche, i personaggi, anacronistici e sconfitti, si presentano in tutta la loro vulnerabilità. È una confessione laica: il monologo appassionato di Pasquale, il suo dolore sotto chiave determina la decisione di Alfredo. La frase ‹‹Hai sciolto la mia condanna››, giganteggia nella coscienza del lettore e sbarra la strada ad ogni soluzione positiva. La parola condanna è sapientemente collocata dopo il verbo sciogliere; quanto il verbo suggerisce una sensazione di libertà e piacevolezza tanto in ossimoro il nome ‘condanna’ identifica il limite e la costrizione. La scelta di Alfredo lo porterà a cercare Maria, questo fantasma, in altri sguardi, in altre apparenze, privato della sua ragione esistenziale viaggerà nella vita estraneo a sé e agli altri. La pietà pirandelliana incontra la forma di Eduardo e detta le struggenti parole di Marigliano. La scrittura eduardiana è una partitura di italiano e dialetto in cui i due codici linguistici dialogano tra loro regalandosi a vicenda dolcezza e asperità. Scrive il Bisicchia: nella scrittura, nella sua concezione di far teatro c‟è un “intuito” realistico che diventa espressione teatrale, mezzo immediato di comunicazione, piuttosto che un realismo di maniera. Ma questo intuito è anche poesia. La parola eduardiana è sempre più proiettata alla ricerca di significati universali, diventa contemporaneamente corposa e diafana, la si coglie e poi ti sfugge perché tende all‟assoluto. Se in Questi fantasmi! la costruzione dei personaggi è sempre ambivalente per quanto riguarda Maria, Eduardo riesce a caricare la sua presenza di tanti e tali interrogativi da renderla necessaria malgrado non sia possibile capire in modo chiaro i suoi desideri e le sue ambizioni. Ancora Donatella Fischer: Maria è lasciata nell‟ombra, di lei non si sa niente, non si ha accesso ai suoi pensieri, né si sa veramente perché abbia un amante. Eppure il suo silenzio merita di essere “ascoltato”, in quanto esso appare non come la caratteristica di una donna insignificante e soggetta alla volontà del marito, ma come una condanna di quest‟ultimo. Non a caso Maria non resta mai in sua presenza, ma si ritira in altre stanze, lontano dalle allucinazioni di Pasquale. In tal modo, la rimozione del personaggio e l‟assenza di dialogo che ne deriva, mettono in evidenza la profonda spaccatura tra Pasquale e la moglie Anche se non giganteggia nella commedia, Maria impone una considerazione e un rispetto comune alle “donne di Eduardo”. Di certo soltanto Pasquale continua a pensare che la sua crisi di coppia sia dovuta ai suoi rovesci economici, ma per le coscienze non alterate dai fantasmi, il male di Maria ha la concreta disperazione di un male di vivere, di uno spaesamento che viene da lontano. Maria è una donna del dopoguerra troppo fragile per camminare da sola, ma che sente l‟ impossibilità di dividere la strada con un compagno che le riserva lo spazio della sua ombra. Eppure basterebbe un atto di coraggio da parte di Pasquale perché le ragioni del suo adulterio si dissolvessero. Nelle parole di Maria si legge la delusione per un progetto di vita fallito, ma ancora di più il disprezzo per l‟accettazione incondizionata di un futuro senza dignità. Con imperiosa fermezza, anche con un‟asprezza di toni a lei inusuali, Maria, in 27 un ultimo estremo tentativo, vuole condividere con Pasquale un senso di appartenenza sacrale e biologico, che non ha ancora il sapore della consapevolezza ma che connota la sua qualità d‟amore. Questa strana creatura che sussurra invece di parlare, con rare eccezioni, è un essere dimidiato; l‟ educazione tradizionale l‟ha abituata al silenzio e soprattutto a realizzare se stessa attraverso il matrimonio, perciò nell‟ombra continua a desiderare e a soffrire. Il fantasma della “donna cosmetica” sicura e determinata, non alberga in lei. Le attenzioni di Alfredo non avrebbero possibilità di successo se Pasquale accettasse di giocare la sua partita con i sentimenti, esse rispondono al senso di vuoto di Maria e alla sua remissiva accettazione che da silenziosa si è trasformata in disperata. Colmare il vuoto di Maria è un‟impresa molto al di sopra delle possibilità di Pasquale e anche dei suoi lettori-spettatori a lui contemporanei che avidamente aspettavano di trovare un po‟ di sé in questo strano napoletano dalla flemma inglese. Il vento impetuoso della modernità non può ancora spazzare le certezze sedimentate da secoli di inalterate abitudini. Per questo Eduardo mette in bocca a Pasquale delle parole che risolvono le “bizzarie” di Maria, dettate dal rassicurante stereotipo maschile sulla donna: MARIA. Ma tu che vuoi da me? Ci siamo sposati, cinque anni fa, fidando sulle tue speranze di riuscire a vincere, come dicevi tu. Queste speranze ci hanno aiutato a vivere, Dio lo sa come, fino ad oggi, e ancora nelle mani della speranza stiamo affidando il nostro avvenire. Tu dici che io non parlo…E ringrazia a Dio! Ti seguo faccio chello ca vuo‟… Ma che vita stiamo facendo?…Questi soldi da dove vengono?…Questi mobili, in casa, chi li ha messo?

PASQUALE. E a te che te mporta?

MARIA. Comme che me ne importa… la gente domanda. Dice: ‹‹Ma vostro marito non parla?››

PASQUALE. E perché la gente deve sapere i fatti nostri? Si capisce che non parlo. Non sono cose che si dicono…Non ne devo parlare…e nemmeno con te…specialmente con te… Ah tu perciò staie ‟e malumore?… E io l‟avevo capito!… Maria mia, ma tu ti vuoi spiegare troppe cose! Già non sarisse femmena. Gelosia, di‟ la verità?… Non fare la sciocca, Marì‟. Tu devi pensare una sola cosa, mio marito non è scemo. Finalmente siamo riusciti a metterci un poco a posto…›› Come? Non ha importanza… Finalmente… ecco: c‟è un‟anima buona che ci aiuta, e speriamo che ci aiuti sempre più per l‟avvenire. Tu sei felice. Io son contento: tiriamo avanti e chi vó a Dio, ca s‟ ‟o prega.

Questa dichiarazione di inferiorità della donna è uno schiaffo alla ragione ed anche al progresso che lambisce i personaggi di Questi Fantasmi! senza mai attraversarli. Questo stereotipo proprio nel momento in cui viene esibito con forza mostra la sua debolezza, non solo per il suo ovvio anacronismo, ma anche per la sua evidente pretestuosità. Appare chiaro che Pasquale sceglie un‟arma facile per risolvere il suo imbarazzo. Grazie alle sue solide costruzioni, ossificate nel tempo, lo stereotipo sociale si offre con semplicistico pragmatismo ai meccanismi più conservativi della convivenza sollecitando un‟impermeabilità alle dinamiche dialettiche. Al di fuori della sua struttura chiusa ma funzionale, si colloca un‟umanità abitata da una confusione benefica, rivelatrice di un‟autonomia di pensiero. Un personaggio che sembra soddisfare un‟esigenza di rassicurante tranquillità è il Professor Santanna. Chiarisce Maurizio Grande: L‟ unica presenza che ci richiama alla realtà è l‟occhio libero da pregiudizi e illusioni che guarda dal di fuori cosa accade nella casa dirimpetto. È, in fondo, l‟unica istanza razionale della commedia, è lo specchio che non mente, la presenza non allegorica; il tutore della “normalità” e la fonte di un giudizio non alterato dalla implicazione nel gioco che si tiene nella casa dei fantasmi. Il giudizio espresso da Maurizio Grande anche se non riflette le caratteristiche che il personaggio ha nell‟opera, risulta invece calzante nel rappresentare il ruolo che lo stereotipo affida alla figura del professore. La sua è una figura taumaturgica, in quanto per definizione rappresenta la saggezza e la cultura; con la sola presenza regala a Pasquale una serenità che allontana dubbi e fantasmi. La parola Professore, nel linguaggio cifrato napoletano, è circondata da un alone di sacralità; pronunciata in modo pomposo e sottolineata da una doverosa pausa, pone il malcapitato destinatario del “titolo” in una situazione difficile. Ogni sua erudita dissertazione deve passare il vaglio della curiosa e spregiudicata intelligenza del pensiero partenopeo e se la prestazione risulta deludente, «o professo‟» perde la sua aura in maniera irrimediabile. Messo alla prova, Santanna non sembra incarnare valori altamente culturali; sappiamo molto poco di lui e le notizie del portiere Raffaele ci raccontano di un uomo schivo e riservato, dedito alle lezioni private. Per quanto Pasquale e Santanna siano distanti culturalmente, entrambi sono figure raggomitolate dentro ambienti claustrofobici; il primo nel “palazzo barocco” e il secondo dentro “una casa angusta” quanto il suo orizzonte esistenziale. Santanna, anche forse per reazione alla marginalità sociale di uomo vedovo e pensionato, legge la realtà dalla prospettiva del suo balcone.

È in virtù di questa similarità di punto di vista, da questa presunta obiettività di sguardo che lettore e pubblico si identificano con Santanna. Uniti da un destino comune entrambi si trovano privati del filtro della quarta parete e ad una distanza troppo ravvicinata dalla miseria e nobiltà di Pasquale. Grazie a questa confidenza eccessiva, quasi imbarazzante, Eduardo smonta il suo stereotipo. Le notizie delle strane visioni non sono solo avvalorate dalla mente semplice di Raffaele, ma anche dal colto dirimpettaio che intrattiene con Pasquale argomentate dissertazioni sui fantasmi “aromatizzate al caffè”. Il professore parla per interposta persona, infatti non una parola viene detta da lui; è la voce del silenzio, la stessa che sostituisce le ragioni della cultura con la facile diceria e il banale chiacchiericcio nella società. Santanna diventa il correlativo oggettivo del vuoto d‟attenzione di parte della critica, in generale per la produzione teatrale e nello specifico per le sue commedie, dovuta anche a un pregiudizio che ritiene il teatro un sottogenere della letteratura. Eduardo chiede un impegno più deciso agli intellettuali, per evitare che i giovani autori del nuovo teatro italiano sprofondino nella palude dell‟indifferenza e il potere indisturbato costruisca un pensiero di “Stato”. In un‟ Italia dove ancora non esisteva la televisione, il teatro e il cinema erano l‟unico luogo della riflessione e del confronto, la comunicazione era dettata da regole espressive diverse ma sia il teatro che il cinema declinavano un pensiero libero in cui l‟orizzonte d‟attesa si identificava. Nella produzione teatrale del dopoguerra Giorgio Pullini evidenzia due nuclei importanti: Potremmo definire, grosso modo, i due filoni principali, quello dei processi morali e quello dell‟ amoralità innalzata a morale, riflettono due momenti successivi del dopoguerra e conseguono internamente l‟ uno dall‟altra. Ma direi che il primo assorbe in sé, nel suo tono investigativo, anche il secondo: lo scadimento dell‟azione morale in azione causale, pratica, arrivista, giustificata in se stessa al di fuori di qualsiasi coerenza ideologica, continua ad uniformarsi al metodo dell‟ inquisizione dei pensieri, del dibattito intellettuale. Santanna come giudice degli straordinari fatti di casa Lojacono è un personaggio dentro l‟innovazione formale di Eduardo ma fuori dal dibattito intellettuale del teatro europeo. Il lettore, più ancora che lo spettatore è in grado di cogliere una qualità diversa, una inquietudine che viene da lontano. Per quanto riguarda l‟atto performativo, le dinamiche della scena con i monologhi di Eduardo sui balconi chiamano in causa lo spettatore, il pubblico capisce di essere investito di un ruolo diverso rispetto al passato. Il pubblico, nella felice definizione di Giorgio Taffon «teatralizzato» nella figura del Professor Santanna, è l‟unico veramente capace di una lettura critica e consapevole dell‟atto rappresentativo.

Il professore, chiuso nello stereotipo della sua rappresentazione, anche se riassume davanti agli occhi di Pasquale le caratteristiche dell‟uomo di cultura, tuttavia resta escluso dalla comprensione profonda dei fatti. Il mancato o il raro incontrarsi di Maria e Pasquale in Questi fantasmi! somiglia all‟incomunicabilità presente in altre coppie del teatro europeo a cui manca l‟aiuto di benefici fantasmi. Taffon indica nel dramma del 1944, il Malinteso di Camus, una similarità di trama e di tematiche: Il 1944 è l‟anno della pubblicazione e dell‟andata in scena del malinteso di Camus, uno dei drammi di riferimento del cosiddetto ‹‹teatro dell‟assurdo››, dove Marta e la madre gestiscono una locanda, uccidono gli occasionali pensionanti per poter accumulare un po‟ di denaro riscattandosi dalla miseria, e, per un ‹‹malinteso›› arrivano ad uccidere Jan, fratello di Marta, capitato fra loro in incognito dopo molti anni, proprio per donare un po‟ di benessere alla famiglia […] Da una piccola città della Boemia, dove si ambienta il dramma camusiano, tale perché il malinteso diviene esistenziale impasse etica dell‟agire, alla grande città di Napoli; da un impossibile senso tragico (non c‟è nel dramma camusiano catarsi, redenzione, e il capo espiatorio nulla insegna) all‟ambigua comicità, mista a compassione, che le vicende di un piccolo borghese, napoletano, Pasquale Lojacono, propongono, tramite l’amore transitivo del suo interprete, che ne assume tutte le sfumature caratteriali, il linguaggio, la fisiognomica, e che, proprio per la sua libertà creativa, lo impongono al pubblico con tutte le sue ambiguità di possibile ipocrita: anche Pasquale vuole tirare fuori se stesso e soprattutto sua moglie Maria (lo stesso nome della compagna dello Jan camusiano), gestendo una pensione; e anche Pasquale rimane dall‟inizio vittima di un ‹‹malinteso›› proprio lui che si dice incredulo di fronte alle ipotetiche presenze di fantasmi in quella casa seicentesca, scenario di antichi fatti cruenti (come la locanda di Camus lo è di omicidi, però commessi al presente. Il teatro dell‟assurdo sbarca a Napoli, un assurdo napoletano, dove i silenzi di Eduardo riecheggiano quelli di Beckett ma nella sostanza fanno rivivere la profondità dell‟agire napoletano che è parco di modi, e piuttosto affida ad una gestualità istintiva ed essenziale l‟espressione del disagio rispetto all‟allegria esibita a bella posta in risposta alle aggressioni della vita. Il commediografo, pur essendo profondamente convinto che l‟eleganza partenopea giacesse sepolta nello stereotipo del chiasso e dell‟eccesso, non mancava di rappresentare personaggi popolari dotati di una loro nobiltà anche se le difficoltà economiche e la professione incondizionata dell‟ “arte di arrangiarsi” ne adombrava le esistenze. Senz‟altro il portiere Raffaele è un degno esponente di questa stirpe di nobili-pezzenti. Giorgio Taffon scrive di lui: Il fondamentale personaggio del guardiaporte, in un certo senso custode e baluardo della linea di confine che divide il mondo esterno della strada dall‟ interno, diventa qui mediatore del contatto con i fantasmi oltre che del dialogo col professore Santanna, gli uni e l‟altro collocati in un‟altra dimensione. Proprio per la sua propensione relazionale Raffaele non è tuttavia solo dialettofono: nelle frasi che rivolge al Professore e nei dialoghi con Pasquale Lojacono mostra di saper dominare con sufficiente adeguatezza l‟italiano. Indubbiamente Raffaele svolge molto bene il suo compito e accoglie noi e Pasquale nel palazzo secentesco, informandoci minuziosamente sull‟ oscuro passato dello stabile e raccontando una storia che nelle intenzioni dell‟autore ha il compito di anticipare il dramma di Pasquale e Maria. Nei momenti cruciali della commedia contrappunta con una bonomia che si tramuta in ironico disprezzo, gli allucinati atteggiamenti di Pasquale. Capace di briosa simpatia come di giudizi inappellabili, il “custode dei fantasmi” ci stupisce per un‟ insospettato gesto di pietà nei confronti di Maria. Succede a nu cierto punto, che fra marito e moglie nasce quella scocciantaria, ca uno dice : Vuo‟ sapé la verità …Mo veramente…Mah , lasciamo andare. Dipende, dipende da tante cose. Un poco perché e te veco oggi e te veco dimane e te veco doppodimane…me sceto e te veco, te scite e me vide …e ce vedimme a Natale e ce vedimme a Pasca. Viene quell‟abbondanza di sazietà ca poi finisce ca fa schifo! Sì, è vero, viene anche quel bene che non è quello di prima, più sostanzioso, ma la donna non lo comprende. La donna tiene sempre la capa fresca, nun ave a che penzà… ‟e gghiesse truvanno sempre chelli nzpetezze, quelle attenzioni vummecuse di quando uno sta nel momento della focosità! Ecco che la donna s‟intristisce, voi le parlate e quella non vi risponde, che è la peggio cosa. ‟A bon‟anema di mia moglie pure faceva lo stesso. Ma io ‟a facevo parlà, perché ‟a vulevo bene. Quanno vedevo ca pigliava ‟anzìria, duie, tre ghiuorne ‟e taciturnaria, avutavo ‟a mano ‟e a pigliavo a pacchere. Certe volte ‟a struppiavo ‟e mazzate, ma parlava… Eh povera donna! Me ricordo che quanno abuscava, se metteva dint‟e braccie mieie, me baciava ‟e manne e m‟ ‟e bagnava e lagrime e d‟ ‟o sango ca le scenneva d‟ ‟o naso…Voi, per esempio, signo‟ avissev‟ a abbuscà nu poco. Ve faciarrìa bene… Ascesse nu poco ‟e sangue pazzo e ve vulìsseve cchiù bene e prima. Raffaele riporta una vulgata popolare, secondo la quale un rapporto tra marito e moglie doveva nutrirsi anche di schiaffi e botte; in misura accettabile contusioni e graffi rafforzavano il vincolo matrimoniale. Ovviamente solo l‟uomo era autorizzato a esercitare “questa affettuosa violenza” nei confronti della moglie che si doveva considerare felice delle “amorevoli attenzioni”. Utilizzando questo stereotipo Eduardo riporta i suoi personaggi svuotati di forza e perciò quasi identificabili con “i fantasmi di palazzo” ad una dimensione più terrena. Dietro il discutibile punto di vista di Raffaele c‟è il desiderio di dare concretezza all‟incontro con la persona amata, realizzando una completezza emozionale nel rapporto tra corpo e anima.

Eduardo De Filippo ha rappresentato il teatro napoletano ed italiano nel mondo egli è stato allievo del grande Luigi Pirandello, oggi noi tutti ricordiamo con gioia l’anima di una Napoli che forse non c’è più.

Giovanni Cardone