LA POESIPITTURA IN MOSTRA A CAGLIARI
Si inaugura sabato 21 la mostra La Poesipittura presso Fly Hotel Cagliari Direttore Artistico Laura Ficco interverranno il Sindaco di Assemini Dr. Ing. MARIO PUDDU, l’Assessore alla Cultura Dott.ssa JESSICA MOSTALLINO la serata sarà sarà presentata e correlata dal . ANDREA NATERI poeta e scrittore e da Laura Ficco. La mostra si potrà visitare fino al 1 marzo 2015. Come ci dice ANDREA NATERI: “ Lo spettacolo è l’arte nuova del nostro tempo, che ha preso il posto della più discreta delle arti, la poesia”(Eugenio Montale); “la poesia è, ormai, un ‘genere’ letterario sempre più specialistico, che non interessa nessuno( Sebastiano Vassalli); “ la poesia è una possibilità infinitamente sospesa”(Giovanni Raboni); “la poesia è universale”( Giuseppe Conte); “la poesia è vero e proprio innamoramento”(Carlo Fruttero). Questi sono i pensieri di poeti e letterati sulla poesia e il suo ruolo ai nostri tempi. Ma la poesia è un’esigenza? Essa si è insinuata negli uomini fin dalla notte dei tempi, come espressione della propria sensibilità. Si tratta dell’arte, dell’attività letteraria di esprimere con elevata tensione spirituale il sentimento, soggettivo e insieme potenzialmente universale, di sé, della condizione umana, della realtà in forme metriche e non solo, anche per mezzo di altri linguaggi e metodi espressivi”. La poesia è la capacità, la forza di suggestionare, in particolare di commuovere, di far insorgere sentimenti elevati: dalle greche orazioni forensi alla calibrata arte oratoria romana, fino a tempi dei dittatori del nostro secolo, che con i loro discorsi riuscivano ad incantare il popolo intero, non possiamo negare la presenza di sfumature poetiche più o meno forti o anche sfruttate, volte a determinare tensione, affettiva e spirituale. Possiamo che dire che la relazione tra la letteratura e le arti figurative è stata nel tempo oggetto di un infinito numero di speculazioni che hanno dato vita a teorie, considerazioni e assiomi diversi e contestualmente applicabili. Trattandosi poi di una questione trasversale a diversi ambiti disciplinari, non deve stupire che sia stata interesse centrale per storici dell’arte, filosofi, estetologi, semiologi, letterati e artisti che, di volta in volta, hanno affrontato il problema in accordo ai propri fini teorici. Tutte le epoche si sono interrogate sul dialogo tra letteratura e arti figurative, sia attraverso pratiche artistiche vere e proprie, spesso frutto di sinergie intermediali, sia attraverso risposte critiche alle stesse, che hanno fatto di questo dialogo un oggetto di studio sempre nuovo. Sebbene però l’origine di questa relazione sia antica, è vero che il Novecento, e soprattutto gli ultimi decenni, è stato protagonista di un rinnovato interesse volto ad indagare le dinamiche interartistiche tra le due arti, e più in generale tra parola e immagine. Il Novecento si è confrontato con questa dimensione proponendo non solo nuovi oggetti interartistici, ma anche nuovi possibili criteri interpretativi, che alimentano quella che James Heffernan ha definito un’enorme “industria intellettuale”. Anche le sperimentazioni pratiche di oggetti intermediali sono oggi quanto mai attuali. Basti pensare alla produzione e alla riproduzione di forme composte pittorico-verbali, come film, immagini televisive, poster, fumetti, testi illustrati, riviste e giornali, che sebbene tradiscano una svolta, dagli addetti ai lavori definita pictorial turn, rimangono a testimonianza di un sodalizio artistico ancora molto stimolante che si adatta camaleonticamente alle esigenze dell’epoca. La ripresa oggi del dibattito sull’interscambio fra letteratura e arti del visuale è da attribuire anche e soprattutto all’importanza che le immagini occupano non solo al livello più “basso” della comunicazione di massa – che non riesce ormai a fare a meno di strumentazioni del visuale – ma anche a quello più “alto” del sistema letterario tout court. E se i linguisti, i filosofi del linguaggio e gli stessi critici della letteratura della prima metà del secolo scorso sono stati responsabili del predominio della lingua in un panorama culturale votato alla distinzione tra le discipline, oggi la comparatistica internazionale e le stesse filologie nazionali fanno della dimensione interartistica e intermediale precipuo oggetto di studio. Gli studi di visual culture contemporanei – eredi per molti versi della storia dell’arte e allo stesso tempo attenti alle altre dimensioni disciplinari, tra cui la letteratura – rifiutano, ad esempio, la tendenza logocentrica e rivolgono l’attenzione allo studio contestuale delle immagini e della loro ricezione. Alla luce di questa nuova tendenza vanno anche letti tutti i più recenti contributi teorici votati allo studio non semplicemente dell’immagine e delle arti del visuale, ma anche della loro ricaduta nel sistema altrettanto complesso della letteratura. Si pensi ai recenti lavori dedicati all’analisi di una particolare forma interartistica, l’ékphrasis – centrale in questo studio – come quelli di James Heffernan e Thomas Mitchell, e nel panorama italiano allo studio di Michele Cometa, il quale, nella sua opera Parole che dipingono, invita ancora una volta a riflettere sulla questione sempre aperta dell’appropriazione delle immagini da parte della scrittura, di cui, come lui stesso osserva, è difficile riassumerne le complesse modalità: Più di recente Cometa ha proposto il termine “catalogo” per contenere alcune di questi modi di interazione fra letteratura ed arti figurative. Nel catalogo Cometa fa rientrare le tipologie della Doppelbegabung, dell’ékphrasis, delle forme miste e di quelle che definisce omolgie, precisando comunque di non volere esaurire e semplificare con questo sistema tassonomico la ricchezza di un campo di indagine così vasto. Per questa ragione definisce il suo catalogo «una strategia comunque parziale e precaria, un colligere che si dispiega secondo un ordine sempre revocabile e che ha la funzione di collocare nello spazio i vari oggetti di cui si occupa». William John Thomas Mitchell, uno dei “padri” e dei maggiori teorici contemporanei della cultura visuale, fa alcune considerazioni sulle modalità d’analisi che il nostro secolo ha più spesso adottato di fronte al problema della relazione fra le due arti. Mitchell parla del metodo comparativo come di quello più tradizionale pur tuttavia lo studioso americano rintraccia, più avanti, i limiti di questo stesso approccio, caratterizzato da presupposti di uniformità e omogenità e da strategie di sistematiche differenziazioni e comparazioni che talvolta ignorano altre forme di relazione più subdole e meno negoziabili. Per Mitchell si tratta di un approccio, quello comparativo, che spesso rimane incastrato in uno “storicismo ritualistico” che si limita a ripercorrere canoniche linee narrative ereditate dal passato, quasi fosse incapace di registrare pratiche e storie alternative. Non per questo egli trova più esatto l’approccio semiotico europeo che finisce per sostituire, in modo talvolta brutale, lo scientism all’artiness nell’analisi del confronto interartistico. Lo studioso parte piuttosto dall’assunto che il problema dell’immagine/testo (sia che lo si intenda come forma sintetica, composta, o come differenza di rappresentazione) è proprio il sintomo dell’impossibilità di giungere ad una “teoria di immagini” o ad una “scienza della rappresentazione”. La riflessione alternativa proposta da Mitchell, per rispondere a questo autentico desiderio di mettere in contatto i diversi aspetti e le diverse dimensioni dell’esperienza culturale, è quella di considerare ogni arte come “composita”, e ogni medium come “misto”, a prescindere dalla loro più o meno evidente relazione ad un’altra arte o ad un altro medium: Non va dimenticato comunque che l’attenzione moderna al fenomeno della relazione tra la letteratura e le arti figurative trae origine da antiche tradizioni. Si pensi alla nota dottrina dell’ut pictura poesis, che soprattutto dal Rinascimento in poi identificò tutti quei tentativi da parte di critici dell’arte e teorici della pittura di rintracciare analogie teoriche e formali fra l’arte letteraria e quella pittorica. Il ricorso all’auctoritas degli antichi, e ad opere come la Poetica di Aristotele e l’Ars Poetica di Orazio divenne una pratica ricorrente tra chi desiderava ritrovare un’origine antica alla questione sempre attuale della complementarietà fra le arti sorelle. In realtà si trattò, per la maggior parte dei casi, di forzature, di trasmigrazioni di teorie da un’arte all’altra, di “omologie poetologiche”, per usare un temine del catalogo di Cometa, con risultati a volte claudicanti. Lo stesso motto dell’ut pictura poesis, ad esempio, era il risultato dell’interpretazione forzata di un’espressione adoperata da Orazio della sua Ars Poetica.. Qui Orazio, lungi dal volere statuire un’analogia formale tra le due arti, si rifà, in realtà, alla similitudine con la pittura (“come un quadro”), semplicemente per dimostrare come nel giudicare una poesia “a volte” bisognerebbe essere flessibili come quando si giudica un quadro dallo stile sommario e impressionistico, per godere del quale, bisogna mettersi ad una certa distanza. Come osserva Mario Praz, Orazio «altro non diceva se non che avveniva di certe poesie come di certi quadri, che alcune piaccion una volta sola, altre resistono a ripetute letture e indagini critiche». La formula dell’ut pictura poesis, in realtà, finì per giustificare l’idea di totale corrispondenza tra pittura e poesia affascinando per secoli schiere di teorici appartenenti ai più svariati ambiti del sapere. L’antichità divenne la fonte da cui attingere alla ricerca dei motti più resistenti. Si ricordi, ad esempio, la nota formula «la pittura è poesia muta, e la poesia pittura parlante» che Plutarco attribuì a Simonide di Ceo e che fu destinata a viaggiare ancora una volta attraverso le epoche. Ma fu certamente il Rinascimento l’epoca considerata protagonista di un acceso dibattito alimentato dal confronto fra le arti. La parola d’ordine era “competizione”, e vide schiere di critici d’arte e letterari prendere le parti della rispettiva arte per confermarne la superiorità. La pittura, che godeva dei più forti riconoscimenti a quell’epoca, poteva annoverare tra i suoi difensori figure quali Leonardo da Vinci. Il celebre Paragone leonardesco, esposto nel suo Trattato della Pittura, rappresenta forse la difesa più autorevole mai esposta sull’arte della pittura e l’attacco più violento sferrato alla poesia: In effetti la poesia non ha propria sedia, nè la materia altrimenti, che di un merciajo ragunatore di mercanzie fatte da diversi artigiani. La pittura serve a più degno senso, della poesia, e fa con più verità le figure delle opere di natura che il poeta. Si ritrova la poesia nella mente, ovvero immaginativa del poeta, il quale finge le medesime cose del pittore, per le quali finzioni egli vuol equipararsi a esso pittore, ma invero ei n’è molto rimoto. Nelle parole di Leonardo la poesia è arte “ladra”, svuotata di qualsiasi valore e capacità artistica, mentre la pittura assurge ad arte perfetta e vera, che supera la poesia nella rappresentazione della realtà. Leonardo avvalora questa tesi paragonando, ad esempio, la rispettiva abilità delle due arti di rappresentare una battaglia: Se tu, poeta, figurerai la sanguinosa battaglia, si sta con la oscura e tenebrosa aria, mediante il fumo delle spaventevoli e mortali macchine, mista con la spessa polvere intorbidatrice dell’aria, e la paurosa fuga de’ miseri spaventati dalla orribile morte. In questo caso il pittore ti supera, perché la tua penna sarà consumata, innanzi che tu descriva appieno quel che immediate il pittore ti rappresenta con la sua scienza. E la tua lingua sarà impedita dalla sete, e il corpo dal sonno e dalla fame, prima che tu con parole dimostri quello che in un istante il pittore ti dimostra . Lunga e tediosissima cosa sarebbe a la poesia ridire tutti li movimenti degli operatori di tal guerra, e le parti delle membra, e loro ornamenti, delle quali cose la pittura finita con gran brevità e verità pone innanzi. Forse mai la poesia uscì così sconfitta dal confronto con la pittura, fatto legato senz’altro al contesto artistico del Rinascimento che vide la scoperta di tecniche più sofisticate di rappresentazione pittorica, quali la prospettiva fortemente basata sul concetto di mimesi. Non può stupire, dunque, che proprio alla pittura spettasse, a quell’epoca, il primato tra le arti e soprattutto il ruolo di guida dell’arte sorella. Altri significativi passaggi nell’arco della storia segnarono i destini della dottrina delle “arti sorelle”, soprattutto attraverso l’applicazione pratica di tecniche di contaminazione parola-immagine, come nel caso dell’emblematica, che ebbe una notevole diffusione nel XVII secolo e che favorì l’idea di omologia fra le due espressioni artistiche. Si trattava di una forma perfetta di unione tra immagine e testo, la cui particolarità consisteva nella capacità di giustapporre i due media, riuscendo comunque a mantenere integra la funzione e il valore semantico di ognuna delle due espressioni artistiche, che in tal modo s’interpretavano reciprocamente. L’emblema incarnava in sé un’idea di completezza data dal mettere insieme, attraverso la rappresentazione, corpo (immagine) e spirito (testo). La produzione di emblemi, anche se già ampiamente diffusa nel Rinascimento, divenne poi una vera e propria moda nel Seicento. Fu soprattutto il Settecento, però, l’epoca in cui si tornò a riflettere con insistenza sul confine e sull’omologia fra le due arti. A questa epoca risale, non a caso, il contributo fondamentale di Gotthold Ephraim Lessing, Laokoon del 1766, cui si deve la svolta più significativa nell’ambito della tradizione dell’ut pictura poesis e di tutta la successiva teorizzazione relativa al rapporto fra letteratura e arti figurative. Le riflessioni di Lessing costituiscono ancora oggi il punto di partenza per i teorici dell’intermedialità, poiché si tratta della prima vera disquisizione scientifica sui due mezzi di rappresentazione artistica, che Lessing, come vedremo, tende più a distinguere che ad omologare. Come osserva Cometa nella presentazione alla traduzione italiana del Laokoon, l’originalità dello scritto lessinghiano non consiste tanto nella sua totale estraneità alla tradizione argomentativa dell’ut pictura poesis – come sarebbe naturale pensare – né nell’assoluta novità dell’assunto. Già prima di Lessing si era a lungo discusso nell’estetica del Settecento del diverso potenziale semantico delle “arti sorelle”. L’abbé Dubos nel suo Réflexions critiques sur la Poésie, la Peinture et la Musique del 1719, e Denis Diderot nella sua Lettre sur le sourds et les muets del 1751, si erano interessati alle specificità dei singoli mezzi artistici21. Ed è certamente probabile che questi testi abbiano rappresentato uno stimolo per le successive riflessioni lessinghiane. In cosa consiste, dunque, la specificità del testo di Lessing? Una citazione da questo importante scritto può aiutarci a rispondere a questa domanda: Tuttavia proprio come se non esistesse alcuna differenza molti critici moderni hanno dedotto da questa armonia tra la pittura e la poesia le cose più triviali del mondo. Ora costringendo la poesia entro i limiti più angusti della pittura, ora lasciando che la pittura occupasse tutta l’ampia sfera della poesia. Tutto quel che va bene per l’una deve esser concesso anche all’altra; tutto quel che in uno piaceva o dispiaceva, deve necessariamente piacere o dispiacere nell’altra; e pieni di questa idea pronunciano con i toni più risoluti i giudizi più superficiali, attribuendo le divergenze rilevate tra le opere del poeta e quelle del pittore sugli stessi soggetti agli errori di questo o di quello, a seconda se hanno maggiore gusto per l’arte poetica o per la pittura. L’obiettivo polemico di Lessing è rappresentato, in modo particolare, dalle forme d’arte mista, come gli emblemi dell’età barocca, o la poesia descrittiva in auge proprio nel Settecento. Quest’ultima era una pratica di scrittura letteraria che tradiva una predilezione per l’arte sorella della pittura, di cui si apprezzavano e studiavano i metodi che si cercava di applicare anche all’arte verbale. Hagstrum, nel suo testo The Sister Arts osserva come in effetti il Settecento sia stata un’epoca esemplare rispetto alla relazione tra le due arti, relazione che egli definisce di “friendly emulation”. Lo studioso fa alcune importanti considerazioni su questo particolare momento di contaminazione artistica, riflettendo soprattutto sulle ragioni che possano avere contribuito, a quell’epoca, all’incremento di interdipendenza fra le arti sorelle: La sinergia tra le arti nel XVIII secolo non riguardò semplicemente la poesia e la pittura. Il Settecento coinvolse, in questo fenomeno di transitabilità, anche l’architettura che trovò ad esempio la sua più diretta espressione nell’arte del giardino. Quest’ultima faceva appello alla stessa estetica del Pittoresco già confluita nei dipinti di Claude Lorrain, Salvator Rosa e Poussin, gli stessi che influenzarono le opere letterarie dei poeti pittorialisti, o meglio ancora “pittoreschi”. Il landscape gardening del Settecento inglese rappresentò il punto di unione tra interesse pittorico e interesse poetico, e costituì una delle esperienze del visuale tipiche di quel secolo. Era inevitabile che una tale conflagrazione di fatti visivi, come quelli sopra elencati da Hagstrum, avesse i suoi effetti anche sull’arte letteraria. La produzione dei poeti pittorialisti è in questo senso particolarmente rappresentativa. Si pensi anche solo al panorama inglese, centrale nello studio di Hagstrum, e agli scritti di Dryden, Pope, Gray e Thomson che aderirono a questa dominante teoria estetica: Furono probabilmente queste stesse macroscopiche assurdità a generare in Lessing il desiderio di mettere ordine a questo “degenerato” caos concettuale, agendo soprattutto in nome della poesia, di cui tende, nel suo studio, a ridisegnare le specifiche e uniche caratteristiche. E se da un lato Lessing si opponeva alla tradizione delle “arti sorelle”, «che non aveva fatto altro che ritardare l’applicazione di un rigoroso principio analitico alle arti», dall’altro rifiutava l’assolutizzazione dell’allegoria nel Barocco che trovava espressione nell’emblematica e che «aveva finito per ridurre la poesia a mera didascalia, per di più enigmatica, e la pittura a mero schizzo allegorico dal tratto approssimativo e comunque privo di colore». Così scrive Lessing: Sì, questa pseudocritica ha fuorviato persino gli stessi virtuosi. Essa ha prodotto in poesia la mania delle descrizioni e in pittura l’allegorismo, facendo di quella un quadro parlante, senza sapere in realtà che cosa essa possa e debba dipingere, e di questa un componimento poetico muto, senza avere considerato in che misura questa possa esprimere concetti universali e divenire una scrittura di segni arbitrari. Lo scopo di Lessing era quello di riportare, come osserva ancora Cometa, «l’attenzione della critica estetica sulle opere d’arte, aprendole ad una sorta di “orizzonte dialogico” animato da uno slancio squisitamente umanistico, che ebbe la funzione di rimettere in discussione tutte le componenti dell’esperienza estetica». Uno dei concetti della tradizione pittorialista, e di quella dell’ut pictura poesis più in generale, maggiormente contestati da Lessing, fu quello dell’imitazione, della mimesis, e non tanto dell’imitazione “tra” le arti, quanto dell’imitazione oggettiva della realtà: Quando si dice che l’artista imita il poeta, o che il poeta imita l’artista, si possono intendere due cose. O l’uno fa dell’opera dell’altro oggetto reale della propria imitazione, o entrambi hanno lo stesso oggetto da imitare e l’uno prende dall’altro il modo e la maniera di imitarlo”. Esporranno i seguenti artisti : TINO CAVAGNOLI, SELLY SELEN CINUS, LAURA FICCO, GIORGIO MELIS, MAURO PANI, LUIGI PORRA’, ORLANDO TOCCO.
Fly Hotel Cagliari
VIA PIEMONTE 22
Assèmini Cagliari – Sardegna
La Poesipittura
Dal 21 febbraio al 1 marzo
Tel: 070 941228- 070 941228
Giovanni Cardone
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