Intervista a Nicola Guaglianone, l’uomo che sta dietro a “lo chiamavano Jeeg Robot”

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Intervista a Nicola Guaglianone, l’uomo che sta dietro a “lo chiamavano Jeeg Robot”

[show_avatar email=1 user_link=authorpage avatar_size=50]Nicola Guaglianone è uno scrittore creativo romano che a noi piace molto. Insieme a Gabriele Mainetti è l’uomo dietro il “robot” del film evento “lo chiamavano Jeeg Robot” che esordisce OGGI (25 febbraio) in tutte le sale italiane. Ci ha risposto con molta cordialità appena lo abbiamo contattato e tra me e lui (siamo coetanei) è iniziata subito l’empatia nerd anni 80, l’ho riassunta tutta qui, ma siamo andati anche in radio e, dopo aver letto TUTTA l’intervista (non fate i furbi) potrete anche ascoltare la sua voce, ci ha svelato tante interessanti novità.

Nicola Guaglianone, sceneggiatore di Lo Chiamavano Jeeg Robot

Nicola Guaglianone, sceneggiatore de Lo Chiamavano Jeeg Robot

T.: Caro Nicola, tu come me fai parte di quella generazione cresciuta nel mito dei cartoni animati giapponesi (anime) che hanno invaso il nostro paese tra la fine degli anni 70 e la metà degli anni 80. Come è nata l’idea di questo progetto? Come l’avete “assemblato” tu e Gabriele (Mainetti) ?

N.G.: Come hai detto tu, siamo quella generazione cresciuta a “pane e Bim Bum Bam”, siamo quella generazione che veniva lasciata ore e ore davanti alla TV, che ci faceva un po’ da balia. Quando io e Gabriele abbiamo iniziato a pensare a LCJR abbiamo fatto riferimento a quello che era il nostro immaginario, il nostro rapporto col MITO.

Il MITO è quello che porta un po’ del nostro peso sulle sue spalle, quel mito che è stato il nostro compagno di giochi da bambini e che abbiamo cercato di riadattare ad una realtà prettamente italiana.

La sfida è stata proprio quella di unire dei generi che, per definizione, non si appartengono. Da un lato il mito degli eroi (giapponesi o USA) e dall’altro il cinema che abbiamo sempre amato, penso a Sergio Leone, Pasolini, Calligari, che, quest’ultimo, con Amore Tossico ci ha influenzato non poco.

Abbiamo cercato di prendere due immaginari ed unirli insieme, cercando un’armonia.

Foto di Emanuela Scarpa

Foto di Emanuela Scarpa

T.: Perché la scelta della periferia romana per il film?

N.G.: Anche per Basette e Tiger Boy noi abbiamo attinto al mito (Lupin e l’Uomo Tigre) ma lo abbiamo adattato ad un ambiente tutto italiano, utilizzandolo per raccontare la realtà di una periferia spesso dimenticata. Abbiamo usato il MITO per raccontare le storie degli ultimi, degli emarginati, di coloro che spesso sono dimenticati. E in lo chiamavano Jeeg Robot questo tema ritorna più forte che mai.

La mia esperienza di lavoro in un centro di integrazione sociale a Tor Bella Monaca mi ha dato la spinta e la voglia di parlare di questa parte della capitale che in pochi raccontano.

Raccontare quel tipo di umanità mi ha sempre stimolato.

L’emarginazione è a 2 ore dal centro…

T.: Jeeg Robot c’entra poco con il film, giusto?

N.G.: Io non direi, Jeeg c’entra poco come c’entrava poco Lupin con Basette o Tiger Man con Tiger Boy, abbiamo utilizzato il mito, come ti ho detto prima, per raccontare storie umane. In realtà è proprio grazie al mito si può raccontare questa storia.

Nello specifico Alessia usa Jeeg Robot per sfuggire ad una realtà difficile per lei, per il suo trascorso e per quello che ha subito fin dalla tenera età.

D’altro canto nello stesso tempo la fragilità di Alessia è il mezzo attraverso il quale un uomo supera la sua chiusura verso il mondo.

Lo chiamavano Jeeg Robot è la storia della rieducazione sentimentale di un misantropo che pensa solo a se stesso ma che grazie all’amore di una donna arriverà a quel principio morale che ispira molti supereroi e cioè che “da un grande potere derivano grandi responsabilità”.

T.: I tre personaggi principali della storia, a loro modo dei giganti. Enzo, Alessia e lo Zingaro ma come mai questo riferimento alle icone pop italiane anni 80?

N.G.: Volevamo creare un cattivo che non fosse un villain e basta, ci piaceva dotarlo di fragilità, la fragilità di un uomo che si sente sempre insoddisfatto, che non si sente mai abbastanza, sempre alla ricerca di una “grande occasione” che gli è sfuggita dalle mani una volta. Un uomo legato al passato, legato ad un appuntamento mancato.

Se da un lato la “svolta” di Enzo è una svolta principalmente sentimentale per lo Zingaro, invece, svoltare significa guadagnarsi il rispetto degli altri, e questo gli farebbe compiere qualsiasi atto.

T.: Avete sdoganato il supereroe italiano, andando anche al di là del Ragazzo Invisibile di Salvatores, come prevedi che risponderà il pubblico?

N.G.: Mi auguro che ci sia una risposta forte del pubblico, calorosa e numerosa. Nelle proiezioni a cui ho assistito ho visto tantissimo entusiasmo, mi è sembrato davvero di vedere quei film di Bud Spencer e Terence Hill, dove il pubblico partecipava con grande trasporto.

Questo film è intrattenimento puro ma è anche un film duro, dove si intrecciano generi e sottogeneri, c’è una storia d’amore legata ai 2/3 del racconto. Molto della trama gira su questo perno.

T.: Lo chiamavano Jeeg Robot avrà un seguito?

N.G.: L’idea c’è, abbiamo tracciato un percorso, ora la sfida è trovare un altro tema forte, fare un racconto che sia prettamente italiano, perché LCJR è un film assolutamente italiano, un film dove ci si relaziona al potere nella maniera assolutamente e totalmente italiana.

Accompagneremo le persone in un viaggio, “cosa succederebbe ad un ladruncolo di periferia italiano se all’improvviso si ritrovasse, per caso, un superpotere?”.

Dobbiamo dare la connotazione di unicità alla prossima storia, deve essere un film che potrebbe essere girato solo in Italia.

Ho già scritto la bozza di un soggetto che potrebbe essere il nostro prossimo lavoro, ma, in ogni caso, ci confrontiamo e cerchiamo sempre di tirare fuori, come per i cortometraggi, qualcosa di unico.

Se riusciremo (io e Gabriele) a conservare il “pischelletto”, il fanciullino, che è in noi, allora continueremo il progetto, altrimenti lo accantoneremo.

T.: Quanto ha bisogno in questo momento l’Italia di un supereroe?

N.G.: C’è sempre bisogno di miti per crescere, poi è importante, dopo andare avanti con le proprie gambe.

Se devo dire la mia, credo che in questo momento in Italia manchi la MERITOCRAZIA, parlando del mio lavoro, mi piacerebbe che un giovane che scrive in questo momento possa emergere. Per un giovane, in questo momento, fare lo scrittore in Italia è difficilissimo. Per fortuna oggi, con internet, con costi limitati, o quasi pari a zero, riesci farti conoscere, e alla fine, se sei bravo, perché non credo nei geni incompresi, vieni fuori.

T.: Cosa vogliamo dire ai nostri lettori per concludere questo nostro incontro?

N.G.: Andate a vedere il film, “correte ragazzi laggiù”, al cinema.

Siamo d’accordo, CORRETE AL CINEMA STASERA,  non ve ne pentirete.

lcjr

L’intervista su Radio OIM:

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